Sal Modugno. Nato a Molfetta, classe 1988, dopo il diploma decide di studiare grafica, formandosi presso l'Accademia di Belle Arti di Bari.
Grafico, illustratore, fumettista e stand-up comedian, ha accettato di raccontare sé stesso e le opere da lui realizzate.
Come nasce la passione per il fumetto?
Non nasce subito. Almeno non con i contorni
così definiti.
Innanzitutto è stata passione per le belle
storie e per i personaggi originali.
Da quando ho iniziato a guardare film
d’animazione da bambino sono stato attratto dalle storie coinvolgenti e dai
personaggi negativi, che per me erano i più carismatici di tutti.
Per qualche
strano motivo i cattivi delle storie sono sempre stati caratterizzati meglio
rispetto ai protagonisti. Forse perché non sono vincolati al discorso
dell’immedesimazione con lo spettatore o obbligati a veicolare valori positivi,
ma con loro autori e disegnatori sembrano darsi davvero alla pazza gioia. E
questa cosa mi ha attratto da subito, non credo di aver mai realizzato lavori
finora in cui i protagonisti potessero dirsi completamente “buoni”, anzi. Il
mio sogno da bambino era ovviamente fare cartoni animati, perché erano i grandi
capolavori Disney che mi intrattenevano, ma non ho mai avuto la pazienza di
interessarmi a tutti i processi tecnici che avrebbero portato i miei futuri
personaggi a “vivere”, muovendosi e parlando.
A me piaceva disegnare e
immaginare storie, l’animazione non mi interessava minimamente.
Poi è arrivato il fumetto, grazie a cui ho
scoperto che i personaggi possono vivere anche restando fermi sulla carta
stampata, purché disegnati bene e scritti, se possibile, anche meglio. E lì è
scoccata la scintilla.
L’aspetto singolare è che al fumetto ci sono
approdato per conto mio, non perché avessi iniziato a leggerne chissà quali e
quanti.
Per me era un ripiego, ho capito dopo che in realtà era un mezzo con
una dignità propria.
Quando hai pensato di farne una professione?
Non so dirlo.
Ho cercato di capirne di più in adolescenza, scoprendo che a un fumetto
potevano lavorare anche interi team di persone e che esisteva una vera e
propria industria, ma sono sempre stato più attratto dal fumetto realizzato da
un autore completo, che ne curasse i testi e i disegni, perché mi ci rivedevo
di più. Era quello che volevo diventare, volevo essere come Silver o Jacovitti
o Schulz, crearmi un personaggio e disegnarlo per anni fino a quando, vecchio e
benestante, avrei affidato tutto a dei collaboratori che gli avrebbero
garantito una vita anche oltre la mia morte. Piccole ambizioni adolescenziali,
insomma.
Nel frattempo
facevo i conti con l’impossibilità di frequentare la Scuola di Comics (per
ragioni di varia natura) e il fatto che non esistessero veri editori di fumetti
nel sud Italia. Né fumettisti da cui recarmi a bottega per imparare il mestiere
(non umoristici, almeno). Così ho intrapreso prima la via della Grafica
Pubblicitaria e poi dell’Accademia di Belle Arti e per quasi 15 anni mi sono
formato su cose utili ma collaterali alla mia passione originale, che ho
continuato a coltivare da autodidatta nei modi più disparati. Faticosissimo, un
percorso ancora in divenire.
Ci sono figure o opere che ti hanno ispirato
particolarmente?
Da ragazzino
impazzivo per Lupo Alberto e Cattivik, quindi per Silver, il loro autore
(creatore del primo). Parliamo dei rampanti anni Novanta. Oltre ai disegni, che
in Cattivik non erano di Silver, mi
rapivano i dialoghi e le personalità così ben caratterizzate dei personaggi.
Ho
sempre amato il fumetto umoristico che non utilizzasse uno humor banale. Mi
piacciono le battute ben scritte, magari che si sviluppano su più livelli; per
me la scrittura è essenziale, detesto dialoghi e trame banali o che riprendono
espressioni e cliché già visti e stravisti.
Dopo Silver ho
conosciuto l’arte di Jacovitti. Poi i meravigliosi Peanuts di Schulz. Poi
Ortolani col suo Rat-Man.
Ovviamente ho avuto la mia fase “supereroi” e “manga
shonen”, come tutti i ragazzi nerd che si rispettino, e sono anche durate
parecchio, se penso alle mia fissazioni per Batman e One Piece. Ma non erano
mai passioni fini a se stesse, cercavo sempre di capire per quale motivo certi
autori e certe storie mi piacessero così tanto e cercavo poi di condire con
quegli ingredienti anche i miei lavori.
Potremmo considerarli i tuoi maestri?
Sì, anche
perché non ne ho avuti di più “concreti”. Intendo fisicamente, di quei maestri
che ti seguono direttamente e quando sbagli ti danno uno schiaffone e ti dicono
dove sta l’errore. Ne avevo e ne ho un estremo bisogno, fare tutto da soli è
faticoso e uno che ci è già passato e ti dica che quello che fai non è da
buttare serve come l’aria, a chiunque.
Oltre a
Silver, Jacovitti e Sculz non posso non citare Matt Groening, che ha
segretamente iniziato a formarmi ben prima di loro, attraverso la televisione
che, come ho già detto, è entrata molto prima dei fumetti nella mia vita. Al
suo lavoro mi ispiro tuttora, trovo che sia geniale come autore e creatore di
personaggi, anche al di là dei Simpson.
Parliamo dei lavori realizzati...
...Strabick (#lispettorestrabick)
Esiste dal
2007, non ha mai avuto successo e probabilmente mai ne avrà, eppure continuo a
dedicarmici, non chiedermi perché. Quando è nato, l’ispettore Strabick doveva
essere solo una macchietta per vignette una tantum, poi gli ho creato attorno,
man mano, una città, dei comprimari, una storia, dei cattivi e oggi sogno di
realizzare dei libri a fumetti i cui sfrutto lui, le sue indagini e il suo
folle mondo per raccontare un po’ la società in cui vivo e le disillusioni di
un Paese che derubrica sempre più il male e la corruzione a vizietti morali che
colorano la quotidianità piuttosto che a vere e proprie piaghe sociali. Ma non
è facile perché per molti è solo un poliziesco umoristico e quelli non vanno
più di moda da decenni. Oggi va il fumetto noioso, quello realizzato da autori
completi che sono riusciti nell’incredibile impresa di realizzare roba più
piatta di quando i fumetti si producevano in serie con cadenze mensili e
censura in agguato, per un pubblico di ragazzini scarsamente scolarizzati.
...La storia di Federico II illustrata
Idea non mia.
Ma giusto quella. Tutti i grattacapi che ne sono derivati lo erano!
Scrivere una
biografia, specie se ironica e divulgativa, è un’impresa difficilissima, ma mi
ci sono cacciato io in quel pasticcio e qualcuno dice che ne son venuto fuori
abbastanza dignitosamente, con un lavoro che piace.
Quando
l’editore di Quorum venne da me chiedendomi qualcosa che parlasse di Federico
II di Svevia, aveva in mente una biografia a fumetti ma a me l’idea non piaceva
granché perché non mi ci vedo a disegnare un fumetto ambientato in epoca
medievale. Così optai per la prosa illustrata, in cui mi sarei potuto divertire
anche di più. Scrivere è la mia seconda passione e ultimamente la sto
alimentando di nuovo, proprio da quando ho iniziato a lavorare a I diari di Federico II. Per un anno ho
letto libri, articoli e visto film attinenti al personaggio e al periodo
storico per evitare di commettere scempiaggini. La pila di volumi gentilmente
prestatami dallo storico Giorgio Otranto, da cui ogni tanto traevo volumi che
aprivo e lasciavo aperti sulla scrivania, zeppi di segnalibri, mi torna ancora
in sogno certe notti.
La parte
illustrata invece è stata la più simpatica. Ridare vita a personaggi storici di
cui conserviamo solo qualche affresco sbiadito da secoli di Storia mi ha
appassionato davvero tanto.
Quando i
cinque diari sono stati raccolti nell’omnibus lo scorso anno, diventato un
libro, sono rimasto interdetto dalla mole di pagine che sono riuscito a
scrivere!
...La psicoscimmia
Lo strepitoso
collettivo artistico messo su con Vittoria Ricci, Ettore Basciano e Michele
Santoruvo!
L’idea iniziale era quella di autoprodurci una nostra rivista di
fumetti, illustrazioni e narrativa per fare un po’ quel che ci pareva. E lo
abbiamo fatto, eccome! E va sempre meglio.
Ci siamo
conosciuti all’Accademia di Bari, dove io facevo il Cultore della cattedra di
Anatomia Artistica e loro frequentavano come studenti.
L’occasione fu la laurea
di Michele, che d’ora in poi chiameremo “il Rosso” (possibilmente con
disprezzo).
La sua tesi era sul tema del viaggio in letteratura, con particolare
riferimento a quella illustrata, e si sarebbe laureato proprio con la docente a
cui facevo da cultore. Finii per rifilare al Rosso un libro che personalmente
amo, "Il potere sovversivo della carta” di Sara Pavan (che abbiamo poi
conosciuto personalmente). Da lì è nata la febbre dell’autoproduzione.
Ettore
e Vittoria frequentavano a loro volta il mio corso e entrarono a far parte del
cerchio magico da subito.
Il primo numero della rivista, stampata in tiratura
limitata di 100 copie, è uscito a novembre del 2017 e attualmente è introvabile.
Grazie al fatto che pubblichiamo tantissimi giovani artisti che poi ottengono
le loro copie da vendere a loro volta, la rivista è arrivata praticamente
ovunque e quest’anno siamo stati selezionati anche per esporre nell’area pro di
un’importante fiera a Roma, l’ARF.
Per citare Marge Simpson, “Là fuori qualcuno
dice che siamo migliori di qualcun altro”.
Quale opera ti rappresenta di più?
L’unica che mi
ostino a portare avanti nonostante i continui fallimenti, L’ispettore Strabick.
È diventato un po’ il mio alter ego, con gli
anni l’ho perfezionato, ormai è versatilissimo. Lo uso anche per fare semplici
vignette, è stupido ma irriverente al punto giusto.
E poi lui è un
investigatore e io un appassionato di gialli.
Cosa diresti al Sal di 10 anni fa?
Forse di fare
più attenzione alla gente che frequenta e che nessuno lo obbliga a sopportare
tutto.
Che è
importante circondarsi di persone che credono davvero in quello che fai o
finirai per smettere di crederci anche tu e la tua passione si atrofizzerà.
Che esistono
tante strade diverse per giungere all’obiettivo, alcune non
immediatamente riconoscibili, ma che possono riservare delle piacevoli sorprese
in termini di crescita personale.
Che il tempo
scorre più in fretta di quanto non si creda e che non esiste un punto sul tuo
percorso in cui tutto cambierà a meno che non te ne occupi tu, giorno per
giorno.
Che i “no” e i
“vaffanculo” sono importanti più dei sorrisi forzati e ti servono a correggere
il tiro.
Che ho
superato i trenta e Strabick sta prendendo il sopravvento.
Che...dovresti
perdere trenta chili, trippone!