martedì 14 maggio 2019

DIO NON TI ODIA - Intervista al regista Fabrizio La Monica


Fabrizio La  Monica,bagherese classe 1990, parla oggi del suo secondo lungometraggio ad Altrapagina.
Dopo la maturità classica, inizia la propria formazione artistica presso l'Accademia di Belle Arti di Palermo, città dove, insieme a Samuele Lindiner e a Ferdinando Gattuccio, fonda nel novembre 2017 la Kàlama Film, casa di produzione cinematografica indipendente.
E' la Kàlama Film a produrre il suo primo lungometraggio Vork and the Beast proiettato a gennaio 2018. E sempre con la Kàlama Film Fabrizio La Monica realizza Dio non ti odia, di cui parliamo più diffusamente con il regista.



Come è nato il soggetto del film?

L'idea mi è venuta alla fine del 2017. 
Avevo da poco finito Vork and the Beast, il mio precedente film. Mi stavo approcciando al cinema del regista Werner Herzog, che ancora conoscevo poco. Iniziai a riscontrare affinità tra lo stile che volevo sviluppare e la poetica del Maestro Herzog. In particolare uno dei suoi film (di cui non posso rivelare il titolo...allarme spolier!) mi ha influenzato molto nella ispirazionedi di Dio non ti odia.
Sempre nello stesso periodo ho letto un romanzo di Stephen King che mi ha anch'esso ispirato, ed anche in questo  caso non posso dirvi il titolo (spoiler)
Ho sia visto il film che letto il romanzo per caso ed entrambi mi sono entrati nell'anima, dandomi l'ispirazione per quella che mesi dopo si sarebbe trasformata in una sceneggiatura, quella di Dio non ti odia.
  
A quale genere lo si vuole ricondurre?

Dio non ti odia è un film drammatico. 
Un film drammatico in costume, con sfumature horror e fantastiche. 
Ma rimane principalmente un'opera ricollegabile al genere drammatico.


Si può suggerire una chiave di lettura al pubblico?

Il film è molto ermetico, caratterizzato dalla presenza di diverse sequenze mute e lunghe scene di viaggio, dove si vuole suscitare la sensazione che i protagonisti vengano "inghiottiti" dalla natura.
Si tratta di un opera molto distante dagli standard cinematografici e televisivi italiani. 
I dialoghi sono molto minimali, i personaggi non hanno nomi. Lo spettatotre deve mantenere costante l'attenzione per immergersi pienamente nella storia che stiamo raccontando, una storia piena di suggestioni sia visive che uditive.

Potreste valutare un proseguimento?

Se si intende un sequel del film, no. E' una storia autonclusiva e così deve restare.

Qual'è il punto di forza dell'opera?

Personalmente spero che il pubblico venga attratto principalmente dall'atmosfera, generata principalmente dalla regia, dalle interpretazioni, dalla colonna sonora e dalla scrittura.
Il film vuole essere un ritorno al gotico italiano, vorrei venisse ricordato per questo.

 Su quali aspetti avresti voluto soffermarti maggiormente?

Trattandosi di un film indipendente ed autofinanziato, il tempo è stato sempre un elemento a nostro sfavore. Aggiusterei qualcosina se potessi tornare indietro? Probabilmente sì, ma devo dire in tutta sincerità che ho avuto piena libertà creativa, insieme a un pieno e costante supporto da parte di tutto il mio team. 



Sono molto soddisfatto del risultato. Ed i primi feedback positivi, ricevuti dal pubblico e dai festival, per i quali siamo in lizza, non possono che farmi piacere.

C'è una filosofia di fondo alla base del progetto?

La filosofia di fondo è stata determinata dai limiti di budget, che finiscono per costituire un'arma a doppio taglio. 
È indubbio che sotto certi punti di vista avere poco budget sia limitante, ma allo stesso tempo l'artista deve mettere in gioco tutto se stesso, oltrepassare i limiti, aggirare i problemi e trasformare gli ostacoli in frecce da scoccare con il proprio arco.
Un regista che stimo moltissimo ha visto il film in anteprima e lo ha definito “un miracolo”, essendo lui conscio dei mezzi e dei limiti della nostra piccola ma agguerrita produzione.

Vogliamo che la Sicilia produca del buon cinema, vogliamo assolutamente discostarci dal genere dei “mafia movie”, stereotipi strabusati e che hanno stufato. 
Crediamo nel nostro lavoro e ci battiamo per portarlo avanti in una terra aspra, ma che merita questo ed altro.


giovedì 9 maggio 2019

DR. SAL E MR. STRABICK - Intervista a Sal Modugno

Sal Modugno. Nato a Molfetta, classe 1988, dopo il diploma decide di studiare grafica, formandosi presso l'Accademia di Belle Arti di Bari. 
Grafico, illustratore, fumettista e stand-up comedian, ha accettato di raccontare sé stesso e le opere da lui realizzate.

Come nasce la passione per il fumetto?


Non nasce subito. Almeno non con i contorni così definiti.

Innanzitutto è stata passione per le belle storie e per i personaggi originali. 
Da quando ho iniziato a guardare film d’animazione da bambino sono stato attratto dalle storie coinvolgenti e dai personaggi negativi, che per me erano i più carismatici di tutti. 
Per qualche strano motivo i cattivi delle storie sono sempre stati caratterizzati meglio rispetto ai protagonisti. Forse perché non sono vincolati al discorso dell’immedesimazione con lo spettatore o obbligati a veicolare valori positivi, ma con loro autori e disegnatori sembrano darsi davvero alla pazza gioia. E questa cosa mi ha attratto da subito, non credo di aver mai realizzato lavori finora in cui i protagonisti potessero dirsi completamente “buoni”, anzi. Il mio sogno da bambino era ovviamente fare cartoni animati, perché erano i grandi capolavori Disney che mi intrattenevano, ma non ho mai avuto la pazienza di interessarmi a tutti i processi tecnici che avrebbero portato i miei futuri personaggi a “vivere”, muovendosi e parlando. 
A me piaceva disegnare e immaginare storie, l’animazione non mi interessava minimamente.

Poi è arrivato il fumetto, grazie a cui ho scoperto che i personaggi possono vivere anche restando fermi sulla carta stampata, purché disegnati bene e scritti, se possibile, anche meglio. E lì è scoccata la scintilla.

L’aspetto singolare è che al fumetto ci sono approdato per conto mio, non perché avessi iniziato a leggerne chissà quali e quanti. 
Per me era un ripiego, ho capito dopo che in realtà era un mezzo con una dignità propria. 

Quando hai pensato di farne una professione?


Non so dirlo. Ho cercato di capirne di più in adolescenza, scoprendo che a un fumetto potevano lavorare anche interi team di persone e che esisteva una vera e propria industria, ma sono sempre stato più attratto dal fumetto realizzato da un autore completo, che ne curasse i testi e i disegni, perché mi ci rivedevo di più. Era quello che volevo diventare, volevo essere come Silver o Jacovitti o Schulz, crearmi un personaggio e disegnarlo per anni fino a quando, vecchio e benestante, avrei affidato tutto a dei collaboratori che gli avrebbero garantito una vita anche oltre la mia morte. Piccole ambizioni adolescenziali, insomma.

Nel frattempo facevo i conti con l’impossibilità di frequentare la Scuola di Comics (per ragioni di varia natura) e il fatto che non esistessero veri editori di fumetti nel sud Italia. Né fumettisti da cui recarmi a bottega per imparare il mestiere (non umoristici, almeno). Così ho intrapreso prima la via della Grafica Pubblicitaria e poi dell’Accademia di Belle Arti e per quasi 15 anni mi sono formato su cose utili ma collaterali alla mia passione originale, che ho continuato a coltivare da autodidatta nei modi più disparati. Faticosissimo, un percorso ancora in divenire.



Ci sono figure o opere che ti hanno ispirato particolarmente?


Da ragazzino impazzivo per Lupo Alberto e Cattivik, quindi per Silver, il loro autore (creatore del primo). Parliamo dei rampanti anni Novanta. Oltre ai disegni, che in Cattivik non erano di Silver, mi rapivano i dialoghi e le personalità così ben caratterizzate dei personaggi. 
Ho sempre amato il fumetto umoristico che non utilizzasse uno humor banale. Mi piacciono le battute ben scritte, magari che si sviluppano su più livelli; per me la scrittura è essenziale, detesto dialoghi e trame banali o che riprendono espressioni e cliché già visti e stravisti.

Dopo Silver ho conosciuto l’arte di Jacovitti. Poi i meravigliosi Peanuts di Schulz. Poi Ortolani col suo Rat-Man. 
Ovviamente ho avuto la mia fase “supereroi” e “manga shonen”, come tutti i ragazzi nerd che si rispettino, e sono anche durate parecchio, se penso alle mia fissazioni per Batman e One Piece. Ma non erano mai passioni fini a se stesse, cercavo sempre di capire per quale motivo certi autori e certe storie mi piacessero così tanto e cercavo poi di condire con quegli ingredienti anche i miei lavori.



Potremmo considerarli i tuoi maestri?


Sì, anche perché non ne ho avuti di più “concreti”. Intendo fisicamente, di quei maestri che ti seguono direttamente e quando sbagli ti danno uno schiaffone e ti dicono dove sta l’errore. Ne avevo e ne ho un estremo bisogno, fare tutto da soli è faticoso e uno che ci è già passato e ti dica che quello che fai non è da buttare serve come l’aria, a chiunque.

Oltre a Silver, Jacovitti e Sculz non posso non citare Matt Groening, che ha segretamente iniziato a formarmi ben prima di loro, attraverso la televisione che, come ho già detto, è entrata molto prima dei fumetti nella mia vita. Al suo lavoro mi ispiro tuttora, trovo che sia geniale come autore e creatore di personaggi, anche al di là dei Simpson.



Parliamo dei lavori realizzati...



...Strabick (#lispettorestrabick)


Esiste dal 2007, non ha mai avuto successo e probabilmente mai ne avrà, eppure continuo a dedicarmici, non chiedermi perché. Quando è nato, l’ispettore Strabick doveva essere solo una macchietta per vignette una tantum, poi gli ho creato attorno, man mano, una città, dei comprimari, una storia, dei cattivi e oggi sogno di realizzare dei libri a fumetti i cui sfrutto lui, le sue indagini e il suo folle mondo per raccontare un po’ la società in cui vivo e le disillusioni di un Paese che derubrica sempre più il male e la corruzione a vizietti morali che colorano la quotidianità piuttosto che a vere e proprie piaghe sociali. Ma non è facile perché per molti è solo un poliziesco umoristico e quelli non vanno più di moda da decenni. Oggi va il fumetto noioso, quello realizzato da autori completi che sono riusciti nell’incredibile impresa di realizzare roba più piatta di quando i fumetti si producevano in serie con cadenze mensili e censura in agguato, per un pubblico di ragazzini scarsamente scolarizzati. 




...La storia di Federico II illustrata


Idea non mia. Ma giusto quella. Tutti i grattacapi che ne sono derivati lo erano!

Scrivere una biografia, specie se ironica e divulgativa, è un’impresa difficilissima, ma mi ci sono cacciato io in quel pasticcio e qualcuno dice che ne son venuto fuori abbastanza dignitosamente, con un lavoro che piace.

Quando l’editore di Quorum venne da me chiedendomi qualcosa che parlasse di Federico II di Svevia, aveva in mente una biografia a fumetti ma a me l’idea non piaceva granché perché non mi ci vedo a disegnare un fumetto ambientato in epoca medievale. Così optai per la prosa illustrata, in cui mi sarei potuto divertire anche di più. Scrivere è la mia seconda passione e ultimamente la sto alimentando di nuovo, proprio da quando ho iniziato a lavorare a I diari di Federico II. Per un anno ho letto libri, articoli e visto film attinenti al personaggio e al periodo storico per evitare di commettere scempiaggini. La pila di volumi gentilmente prestatami dallo storico Giorgio Otranto, da cui ogni tanto traevo volumi che aprivo e lasciavo aperti sulla scrivania, zeppi di segnalibri, mi torna ancora in sogno certe notti.

La parte illustrata invece è stata la più simpatica. Ridare vita a personaggi storici di cui conserviamo solo qualche affresco sbiadito da secoli di Storia mi ha appassionato davvero tanto.

Quando i cinque diari sono stati raccolti nell’omnibus lo scorso anno, diventato un libro, sono rimasto interdetto dalla mole di pagine che sono riuscito a scrivere!







...La psicoscimmia


Lo strepitoso collettivo artistico messo su con Vittoria Ricci, Ettore Basciano e Michele Santoruvo! 


L’idea iniziale era quella di autoprodurci una nostra rivista di fumetti, illustrazioni e narrativa per fare un po’ quel che ci pareva. E lo abbiamo fatto, eccome! E va sempre meglio.

Ci siamo conosciuti all’Accademia di Bari, dove io facevo il Cultore della cattedra di Anatomia Artistica e loro frequentavano come studenti. 
L’occasione fu la laurea di Michele, che d’ora in poi chiameremo “il Rosso” (possibilmente con disprezzo). 
La sua tesi era sul tema del viaggio in letteratura, con particolare riferimento a quella illustrata, e si sarebbe laureato proprio con la docente a cui facevo da cultore. Finii per rifilare al Rosso un libro che personalmente amo, "Il potere sovversivo della carta” di Sara Pavan (che abbiamo poi conosciuto personalmente). Da lì è nata la febbre dell’autoproduzione. 
Ettore e Vittoria frequentavano a loro volta il mio corso e entrarono a far parte del cerchio magico da subito. 
Il primo numero della rivista, stampata in tiratura limitata di 100 copie, è uscito a novembre del 2017 e attualmente è introvabile. 
Grazie al fatto che pubblichiamo tantissimi giovani artisti che poi ottengono le loro copie da vendere a loro volta, la rivista è arrivata praticamente ovunque e quest’anno siamo stati selezionati anche per esporre nell’area pro di un’importante fiera a Roma, l’ARF. 
Per citare Marge Simpson, “Là fuori qualcuno dice che siamo migliori di qualcun altro”.
 
Quale opera ti rappresenta di più?


L’unica che mi ostino a portare avanti nonostante i continui fallimenti, L’ispettore Strabick
È diventato un po’ il mio alter ego, con gli anni l’ho perfezionato, ormai è versatilissimo. Lo uso anche per fare semplici vignette, è stupido ma irriverente al punto giusto. 
E poi lui è un investigatore e io un appassionato di gialli.





Cosa diresti al Sal di 10 anni fa?


Forse di fare più attenzione alla gente che frequenta e che nessuno lo obbliga a sopportare tutto. 
Che è importante circondarsi di persone che credono davvero in quello che fai o finirai per smettere di crederci anche tu e la tua passione si atrofizzerà. 
Che esistono tante strade diverse per giungere all’obiettivo, alcune non immediatamente riconoscibili, ma che possono riservare delle piacevoli sorprese in termini di crescita personale. 
Che il tempo scorre più in fretta di quanto non si creda e che non esiste un punto sul tuo percorso in cui tutto cambierà a meno che non te ne occupi tu, giorno per giorno.
Che i “no” e i “vaffanculo” sono importanti più dei sorrisi forzati e ti servono a correggere il tiro. 
Che ho superato i trenta e Strabick sta prendendo il sopravvento. 
 
Che...dovresti perdere trenta chili, trippone!